Bantia ad Oppido sono oscure: pare che il reperto dovette essere trafugato non certo per il suo valore storico-documentale, bensí per il prezzo del metallo, finendo, come tale, per arricchire una tomba di qualche abbiente defunto della vicina Oppido. Il ritrovamento componeva tre distinti frammenti piú corposi e qualche altro pezzettino, che solo in segui-degli altri frammenti epigrafici scoperti e conservati piú o meno fortunosamente, dalla Sicilia a Venezia 2 . La cui analisi comparata mi pare obbligato fu attribuito alla Tabula. La sua pubblicazione suscitò l'interesse degli studiosi fin dal primo momento, tanto da spingere il Museo archeologico di Napoli ad acquistarla, pare per 400 scudi. Due dei frammenti furono pubblicati da F. Avellino, nella Dissertatio isagogica (p. 38). Uno di questi due frammenti si trova ancora oggi nel Museo Nazionale di Napoli (provenendo dall'omonimo Museo borbonico, dove era stato conservato, a differenza dell'altro offerto all'Accademia Ercolanense e mai consegnato). Nel 1967 Adamesteanu e Torelli scoprirono e pubblicarono un ulteriore frammento. Da ultimo il Torelli ha posto in relazione con la Tabula un frammento scoperto in tempi piú recenti, da lui pubblicato e commentato: M. TORELLI, Una nuova epigrafe di Bantia e la cronologia dello statuto municipale bantino, in Atheneum, LXVII, 1983, 252-257. 2 Di essi vorrei citare, per una visione di assieme, i piú rilevanti: Le Tabulae Iguvinae, considerate «il monumento principale della lingua e della civiltà degli Umbri» (Cosí G. DEVOTO, Gli antichi italici 4 , Firenze, 1969, 13), vendute il 25 agosto del 1456 ai rappresentanti della città di Gubbio e consistenti in sette tavole di bronzo in caratteri latini ed in caratteri dichiarati "ignoti", delle quali due, custodite, secondo quanto dichiarato nel 1673 dal giureconsulto Antonio Concioli, da 133 anni nell'Arsenale di Venezia e poi mai piú riviste. Probabilmente furono trovate "in un sotterraneo ornato di mosaici, presso il Teatro Romano" (A. CONCIOLI, Status Civitatis Eugubii, 1 a ed., 1673; 2 a ed., 1685, Macerata, cap. 2). Di queste tavole vi furono diverse edizioni; ma solo nel 1723 si ebbe un'edizione completa, ritenuta definitiva, ad opera di Thoma Dempster, che la presentò nel suo De Etruria Regali, scritto a Pisa tra il 1616 ed il 1619, ma pubblicato solo nel 1723. Esse erano in etrusco e latino ed avevano un contenuto religioso. Sono sette tavole bronzee, concernenti complessi cerimoniali di lustrazione ed espiazione della città. Un'iscrizione in lingua osca portata a Messina nel 283 a.C., da mercenari Mamertini reduci da Siracusa, pubblicata solo nel 1604 a Venezia, nella Istoria Siciliana di Giuseppe Buonfiglio e ricostruita, nelle parti mancanti, da copie rinvenute successivamente. L'iscrizione conteneva le parole meddices e mamertino, ma era in greco. Cippo Abellano, che in ben 60 righe conservava nella lingua osca un trattato intervenuto tra le città di Nola e di Abella. Reso noto nel 1750, era stato trovato cinque anni prima dal padre Stefano Remondini, il quale lo aveva riconosciuto in una soglia di una porta dove soffriva "il danno del calpestío degli uomini non solo ma ancor de' carri". Spedito dal Remondini all'abate Passeri a Pesaro fu da questi pubblicato nelle Memorie della Società Colombaria, nel 1752. Ebbe due successive edizioni ad opera dello scopritore Remondini, nel 1757 e nel 1760 (Sul punto v. G. DEVOTO, Gli antichi italici, cit., 15, il quale si basa su T. MOMMSEN, Die Unteritalischen Dialekte, Leipzi, 1850, 121 s.). 15 ulteriori iscrizioni e le scritte di una trentina di monete, le quali sono testimoniate nel Saggio sulla lingua etrusca e su altre antiche d'Italia, pubblicato nel 1789 dall'abate Luigi Lanzi. Tabula Veliterna, lamina di bronzo di solo 4 righe in osco. Da essa traspare un ca-